Circa il silenziamento delle campane dell’orologio di Pienza

La decisione di silenziare le campane della torre dell’orologio di Pienza nelle ore notturne rappresenta l’ennesimo caso che salta agli onori delle cronache in cui al suono delle campane vengono associati una eccessiva rumorosità e il disturbo della quiete notturna. Alla campana, strumento musicale e bene culturale nell’alveo della cultura materiale e immateriale, si legano gli studi sul paesaggio sonoro, imprescindibili per contestualizzarla nel tempo e nello spazio. E proprio dal concetto di paesaggio sonoro e di ambiente sonoro della città (e della sua tutela) parte la “requisitoria” a difesa del suono delle campane (di giorno e di notte, ove possibile e giustificabile).

Pienza, prototipo della città ideale rinascimentale, voluta dal papa umanista Enea Silvio Piccolomini e “commissionata” a Bernardo Rossellino, è meta di turismo da tutto il mondo. Le istanze umanistiche che stanno alla base del progetto di riadattamento dell’antico borgo di Corsignano - borgo natio di Pio II, che infatti volle rinominarlo ‘città di Pio, Pienza’ - sono quelle dell’uomo al centro dell’universo: il progetto è dunque quello di una città “a misura d’uomo”, equilibrata e sostenibile!

Oggi invece le istanze al centro del progresso urbano e della pianificazione urbanistica, per citare l’appena scomparso Marc Augé e la sua opera Nonluoghi, sono quelle legate al consumo e alla mobilità che crea appunto i cosiddetti “non luoghi”: spazi atti a massimizzare efficienza e uso commerciale, non di certo progettati mettendo, come durante l’umanesimo, l’uomo al centro della progettazione. E allora Pienza diventa una città da visitare per ritrovare anche una giusta via che rimetta uomo, tutela dell’ambiente e sviluppo sostenibile al centro della pianificazione urbana, in un connubio di istanze umanistiche vecchie e nuove.

La città ideale rinascimentale non può quindi essere vista o vissuta attraverso un turismo che adegui il borgo e le sue caratteristiche secolari (anche acustiche) alle esigenze del turista che vorrebbe farla diventare città ideale per se stesso. Lo stesso turista che spesso visita la città “a pacchetto” e probabilmente vi pernotta per una o due sole notti: perché il capriccio di un avventore occasionale, spesso immerso per gran parte della sua vita nei nonluoghi, deve poter mutilare il borgo di una sua impronta sonora notturna?

Perché la campana è impronta sonora e non rumore molesto: un concetto coniato da Raymond Murray Schafer nel suo saggio Il paesaggio sonoro. Schafer analizza questo tipo di percezione paesaggistica suddividendolo in toniche, segnali e impronte sonore, così come in un paesaggio ci può essere sfondo, figura ed elemento caratterizzante. Nella città medievale la campana era un segnale che, col tempo, storicizzandosi, si è trasformato in impronta sonora. «Un’impronta sonora, nella sua unicità, merita di passare alla storia tanto quanto una sinfonia di Beethoven. La sua memoria non può essere cancellata dal trascorrere del tempo. Alcune impronte sonore sono monolitiche e inscrivono il loro marchio su un’intera comunità, come certe famose campane di chiese o di orologi, certe trombe o sirene. Che cosa sarebbe Salisburgo senza il Salvator Mundi, Stoccolma senza lo Stadshuset Carillon o Londra senza il Big Ben?» (Schafer, 1977, p. 330) scrive il compositore canadese. Egli stesso non può far altro che utilizzare le campane come esempio caratterizzante di impronta sonora nel paesaggio urbano. Si tratta di suoni caratterizzanti e ricchi di informazione (anche storica) che va esaltata e non silenziata, contribuendo così all’appiattimento. Eliminare il suono delle campane svuota di significato luoghi che vengono visitati, appunto, non solo per la loro arte e la loro storia, ma anche per la caratterizzazione del loro paesaggio, che sia antropico o naturale, “muto” o sonoro.

Quello dei non luoghi è a tutti gli effetti un fenomeno contemporaneo da studiare per comprendere il cambiamento sociale e spaziale della società contemporanea che tende all’omologazione e alla normalizzazione, intesa come cieca applicazione di norme e standard uguali per tutti e in ogni situazione: silenziando le campane dell’orologio di Pienza concorriamo alla diffusione di questo fenomeno e partecipiamo al gioco di una globalizzazione distruttiva e malsana. Acconsentendo a queste rimostranze (superficialmente innocenti: “in fondo sono solo nove ore di silenzio notturno”) si cede ancora il passo alle istanze di persone già figlie dei non luoghi, quando dovremmo essere proprio noi, studiosi, amministratori e quindi custodi del patrimonio urbano e paesaggistico, ad educare coloro i quali vivono il turismo in Italia, a far capire che il centro storico di Pienza non è l’ennesimo Holiday Inn uguale a sé stesso, a Singapore come a NY, ma è un borgo unico nel suo genere, che si concede carico di tutta la sua storia, che permette di essere visitato ma che non può cedere a modifiche così traumatiche della sua essenza che si anima ogni mezz'ora anche di notte, attraverso i rintocchi delle campane che completano il perfetto equilibrio dei volumi architettonici che i turisti tanto apprezzano.

Se non siamo noi italiani ad educare alla bellezza, una bellezza che parte dalla comprensione della storia e che alla storia apprezzata dai turisti fa capo, chi lo deve fare? Bellezza è soprattutto apprezzare il paesaggio e il paesaggio non è solo una cartolina. Il paesaggio è fisico, tattile, olfattivo, gustativo (si pensi alla cucina tipica italiana, figlia del paesaggio e della varietà di aree climatiche e quindi di biodiversità, messa alla prova dalle grandi catene di fast-food), ma anche acustico!

È sintomatico che siano i turisti a voler tacitare le campane e non gli abitanti del luogo, i quali affermano «di esserci nati col suono di quelle campane e che nel più assoluto silenzio della notte erano un segnale di vitalità» (RaiNews, 31 luglio 2023). I turisti purtroppo a volte pensano che piegare paesaggio e patrimonio alle loro aspettative sia parte del prezzo che si è pagato per la vacanza, senza rendersi conto che si tratta di luoghi abitati e vissuti e non costruiti a tavolino per un turismo esclusivamente commerciale.

Gli abitanti, fortunatamente per loro, conoscono bene il significato del luogo che abitano: quello di Pienza è solo l’ennesimo caso di mortificazione del patrimonio italiano che, piaccia o no, si compone anche dei secolari rintocchi delle sue campane.

Filippo Falzoni